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Ai miei compatrioti.

25 Jun

È il momento di usare il cervello, è il momento di capire, è il momento di essere società civile. Non è importante la posizione politica, non sono importanti le ideologie che ci caratterizzano. Stiamo entrando in un periodo della storia dell’umanità di turbolenze, smottamenti e difficoltà. Ora è assolutamente deleterio esprimersi tutti conoscitori di settori e di discipline che non ci appartengono. E questo in due campi e in due modi. Primo. Cerchiamo di capire – invece che ragionare solo con il nostro cervello. Ci sono esperti del settore e dovremmo capire quali siano e come renderli utili per il nostro processo individuale di comprensione. Non siamo tutti esperti di relazioni internazionali, non siamo tutti economisti, ma siamo tutti capaci di leggere le parole di esperti di relazioni internazionali e di economisti professionali e attendibili. Usiamo il cervello per capire come, attraverso persone che lo fanno di professione, capire di discipline che fino ad oggi non hanno fatto parte della nostra esistenza. Per questo non ha senso in questo momento ascoltare i politici, ma ha senso usare il cervello e studiare. Secondo. Noi italiani abbiamo la grande capacità di inserirci in altre società, in altre nazioni. E questo per una forma di frenesia e goffaggine che ci rende in generale piacevoli. Non dimentichiamoci infatti che non siamo in generale persone violente, ma – per piacere -non dimentichiamoci chi siamo, da dove veniamo, e quali interessi abbiamo. E interessi sia economici che, più in astratto, ideali e filosofici. Usiamo il cervello, e cerchiamo di capire come evitare instabilità politiche nel nostro paese che potrebbero essere pericolose. Non è una questione di partiti, è una questione di unità nazionale, e stabilità in Europa. Non vogliamo un’altra guerra tra di noi o contro altri.

Woody Allen syndrome – the despair of single women

9 Jan

It is a drama for women in London. I understand it and I am pretty close to their despair. I am extremely sorry for them.

It is three days I see couples on their first date in a pub. It happened by chance, but the three occasions were identical: men showing off, speaking and then speaking. Using the muscles of their tongues to impress. To catch their prey.

It resembles so many movies by and with Woody Allen. It is exactly the same. The man trying to impose his theories about all the tiny aspects of life. But, unfortunately, singles in their 30s are not as witty as Woody Allen. Otherwise they would not be single. That is logical.

It is obvious. But some women (poor them) did not yet understood it. They still go out for beers or dinner. They are nice, sweet and smiling. They still have hope. Also in front of losing battles. English singles are gentle as most of English people.

“I agree” … “You are right” … “I understand you”, said the women I saw in the last three days. Those women bound to reply with generic laugh and cliche expressions. They are gentle, extremely gentle.

But, like real preys, the only thing that they really want is a way out. A way to go back home. Because, sometimes, the condition of a hopeless single is much better than the one of a lovely woman still dreaming about her charming prince.

Solitudini nascoste

Solitudini nascoste

Le donne single che vivono a Londra vivono una condizione che è terribilmente prossima al dramma. Mi spiace per loro. Tanto.

Questa è la terza sera di fila che osservo una coppietta al primo appuntamento in un pub. E’ successo per caso, ma le tre occasioni hanno un qualcosa di inquietante. Sono stranamente simili: gli uomini in mostra, a sciorinare. A usare i muscoli della loro lingua per impressionare. Per catturare la loro preda.

Questi uomini assomigliano così tanto ai personaggi maschili dei film di Woody Allen. È esattamente la stessa storia. L’uomo che cerca di imporre le sue teorie su qualsiasi minuscolo dettaglio della vita. Ma, purtroppo, i 30enni single non sono simpatici come Woody Allen. Se lo fossero non sarebbero soli. Questa è logica.

È ovvio. Ma alcune donne (povere loro) non lo hanno ancora capito. Hanno ancora voglia di uscire per una birra o per una cena. Sono belle, dolci e sorridenti. Hanno ancora speranza. Anche di fronte a battaglie perse in partenza. Sono gentili come la maggior parte degli inglesi.

“Sono d’accordo” … “Hai ragione” … “Ti capisco”, hanno detto le donne che ho osservato negli ultimi tre giorni. Quelle donne tenute a rispondere con risate generiche ed espressioni cliché. Sono gentili, estremamente delicate.

Ma, come vere prede, l’unica cosa che vogliono veramente è una via d’uscita. Un modo per tornare a casa. Perché, a volte, la condizione di una zitella senza speranza è molto migliore di quella vissuta con apprensione da una donna ancora capace di sognare il suo principe azzurro.

Why not to fall in Love

20 Dec

Through love you immediately feel special. You are abruptly international “because our first boundary is our mind”. You are suddenly perceiving some pleasure brushing your teeth in front of the mirror – you think to be good looking. Loving, you can even perceive to be useful. But open your eyes, that’s stupidity! You are not special, you are not particularly international, you are not good looking even after one day in a beauty farm and you are not useful at all. That is the truth. You are simply stupid.

Love should be illegal, banned. After many years asking yourself high questions to increase your understanding of the world, you go down stupidly. You slide out of reality. You neglect years of intelligence. You can even start thinking about marginal aspects of your life like: do I prefer Spanish or Dutch tomato? (Spanish). How do I prefer to sleep? (On my side). Why am I not laughing? (Because I am in love).

L’amour c est dangereux. And this post is simply a proof.

Good company

Con l’amore ti senti immediatamente speciale. Drammaticamente ti senti internazionale “perché il nostro più grande limite è il nostro cervello”. Senti improvvisamente un certo piacere nel lavarti i denti davanti allo specchio – puoi anche pensare di essere di bell’aspetto. Amando, ti puoi sentire perfino utile. Ma apri gli occhi, tutto questo è pura e semplice stupidità! Non sei speciale, non sei particolarmente internazionale, non sei di bell’aspetto neanche dopo una giornata in una beauty farm e non sei utile per niente. Questa è la verità. Tu sei stupido.

L’amore dovrebbe essere illegale, proibito. Dopo tanti anni a domandarsi il perché delle cose per accrescere la tua comprensione del mondo, scivoli via. Sgusci via dalla realtà. Neghi la tua intelligenza.

E così, intorpidito dall’amore, ti abbandoni a pensare a cose terribilmente stupide: preferisco i pomodori spagnoli o olandesi? (Spagnoli). In che posizione preferisco dormire? (Di lato). Perché non sto ridendo? (Perché sono innamorato).

L’amour c est dangereux. E questo post ne è la prova.

I am very very tired when…. Sono molto molto stanco quando…

4 Aug

Traveling should be a profession: it’s as tiring as a profession. Especially if you work and travel at the same time. Nothing to say about it. Hence, I’m using myself to understand when it’s not worthy to move and when I cannot (technically) move for physical reasons. In this way I realize to be very very tired when:

1. I start speaking by myself not to fall asleep

2. I think about things I would like to do in the future in order to find motivation to keep on doing simply what I am doing

3. I sing Christmas songs in August, thinking that I would love to ask Santa Klaus to sleep more and better

4. I think about the period I worked as a Reuters journalist, remembering it as easy and relaxing

5. I start mixing words of different languages expecting people to understand me. Normally when I’m in this condition then I start laughing by myself: at least I understand what I mean

6. I keep on thinking I lost money and objects somewhere in the previous 24 hours. That’s the only paranoia left: I’m too tired also for paranoias

7. I have problems taking something lying on the opposite part of my bed, hoping that the object will come to me for some magical reasons. Even though I’m tired, I’m still mentally sane: I never saw anything moving magically

8. I cry in front of the television watching the Olympics – I don’t think I’m so emphatic and sensitive. I prefer to think my teardrops are related to the simple idea of me running 400 meters – too tiring. I cannot be any more “faster, higher, stronger”

9. I’m in bed thinking I want to do so many things that my body keeps on producing adrenaline: it’s a nightmare then to fall asleep and I’m still so tired that it’s three hours I’m not doing anything

10. I open Facebook and I’m scared of those 14 notifications: I will never sleep

11. I write 3rd of August 2007, with 5 years lag. It sounds wired how fast time passes, I suddenly feel all the pain of it

By the way, now I’m singing by myself Christmas songs, thinking that I have to finish the post on the blog because I want to read 14 notifications, before trying to sleep in order to be fresh tomorrow and speak with my colleagues just in English. But I’m already thinking about the money I forgot in a bar where I grabbed a coffee crying in front of the television – I was watching the weightlifting at the Olympics.

But it doesn’t matter. Today is the birthday of an adorable creature, the one who introduced me to the pleasure of experimenting and traveling. She’s the kind of person who lives her life, with a shot of tiredness in her eyes and a long drink of nice experiences to share. Ops. That’s why I just changed my mind: now I’ll experience the night. Tired but happy.

And no paranoias will follow me in my exploration – that’s the great advantage of being tired, even too tired for paranoias.

When I'm too tired even to use the stairs. Then I find myself doing pretty stupid things. Picture taken in Copenhagen - Istedgade

When I’m too tired even to use the stairs. Then I find myself doing pretty stupid things. Picture taken in Copenhagen – Istedgade

Viaggiare dovrebbe essere una professione: è faticoso almeno quanto lavorare. Soprattutto se ci si prova a guadagnare la pagnotta lavorando mentre si è in viaggio. Niente da dire in proposito. Quindi, quello che sto facendo è “usare me stesso” per capire quando non ha senso muoversi e quando non è possibile muovermi per ragioni fisiche. In questo modo mi rendo conto di essere molto molto stanco quando:

1. Comincio a parlare da solo per non addormentarmi

2. Penso a esperienze che vorrei fare al fine di trovare la motivazione per continuare a fare quello che sto facendo

3. Intono canzoni di Natale nel mese di agosto, pensando che mi piacerebbe chiedere a Babbo Natale di dormire di più e meglio

4. Penso al periodo in cui ho lavorato come giornalista Reuters, avendo la percezione che sia stato facile e rilassante

5. Uso parole di diverse lingue aspettandomi che le persone mi capiscano. Normalmente quando mi trovo in questa condizione inizio a ridere da solo: almeno ho capito cosa voglio dire

6. Continuo a pensare di aver perso soldi e oggetti da qualche parte nelle 24 ore precedenti – paranoia. Si tratta tuttavia dell’unica paranoia che mi fa compagnia: sono stanco anche per quello

7. Ho problemi a prendere qualcosa che sta sulla parte opposta del mio letto, sperando che l’oggetto verrà da me per alcune ragioni tanto inspiegabili quanto magiche

8. Piango davanti alla televisione guardando le Olimpiadi – non credo di essere così empatico e sensibile. Preferisco pensare che le mie lacrime siano dovute alla semplice idea di dover correre 400 metri – troppo faticoso . Non posso essere più “più veloce, più alto, più forte”.

9. Sono a letto a pensare che voglio fare tante cose che il mio corpo continua a produrre adrenalina: è un incubo poi addormentarsi e io rimango comunque così stanco che ho passato tre ore a non far niente

10. Apro Facebook e ho paura di quei 14 notifiche: non dormirò mai più

11. Scrivo 3 agosto 2007 – sono 5 anni in ritardo. Sembra strano quanto passi velocemente il tempo, ora ne sento il peso – tutto in un botto.
A proposito, ora sto cantando canzoni di Natale da solo. Sto pensando che devo finire il post per il blog perché voglio leggere 14 notifiche, prima di cercare di dormire per sentirmi in forma domani: vorrei tanto parlare ai miei colleghi solo in inglese. Contemporaneamente prende il passo anche un altro pensiero parallelo: il denaro dimenticato in un bar dove ho preso un caffè. Dove mi son messo a piangere davanti alla televisione mentre guardavo il sollevamento pesi alle Olimpiadi.

Ma non importa. Oggi è il compleanno di una creatura adorabile, colei che mi ha fatto conoscere il piacere di sperimentare e di viaggiare. Lei è il tipo di persona che vive la sua vita, con uno shottino di stanchezza negli occhi e un lungo cocktail di belle esperienze da condividere. Farò la stessa cosa e sperimenterò la notte. Stanco ma felice. Senza paranoie. Questa la bellezza di essere stanco.

Un compromesso tra la stanchezza e la voglia di vivere la notte: il taxi con porta-biciclette

Un compromesso tra la stanchezza e la voglia di vivere la notte: il taxi con porta-biciclette

E via di viaggio (sul divano e a letto)

22 Jun
E via di viaggio

E via di viaggio

Il viaggio stravolge i tempi della vita, velocizzando alcune emozioni e rallentandone altre. Ma ci sono delle lentezze che travalicano lo stravolgimento del viaggio. Volte in cui ci vogliono delle ore prima che due persone si avvicinino furbetti, perché ci sono milioni di cose più divertenti che non esplorarsi sessualmente. Quelle ore anche nudi a non voler altro se non quello che si sta facendo. Quelle volte in cui ci sono milioni di alternative più divertenti che non ravanarsi. Anche questo è viaggio, viaggio con una persona.

Lo stravolgimento fa piroettare anche la prospettiva da cui si guarda: ci si trova rincoglioniti come appena sbarcati in una città caotica piena di simboli che fino a quel momento non ci erano appartenuti. Il movimento del collo sembra il pendolino di un mago, le parole un mantra buddista: il rincoglionimento è assicurato.

“I’m happy you are here”, dice una voce accanto a me. E il pisello si fa di colpo duro. Non so per quanto tempo.

Ma è già una rivoluzione.

Soli a pulire i piatti, con i vetri di Copenaghen – la paranoia si esaurisce

16 Jun

La sensazione di non sentirsi da soli e sapere di non esserlo. Non è una cosa da poco. Penso che oggi sia una sensazione che ha rincorso i miei sorrisi per molto tempo. Ma sapere che in realtà si è soli non fa troppo paura. Specialmente se si sa di non esserlo.

Oggi mi sono emozionato per lo chef che si è complimentato con me per come pulisco i piatti. So di non sapere quanto valgo, ma un po’ so di valere. Mi sento uomo. Mi sento pronto per dare qualcosa agli altri. Mi sento pronto a sorridere gratuitamente.

Soli a sognare

Soli a sognare

Ho trascinato le mie emozioni fino a qua in una suspense di odio e di attesa. Ora sento che posso prendere delle decisioni e sopportarne il peso, portandomelo appresso così da essere più forte quando cammino sui vetri rotti, ma talmente solido da non farmi male e anzi spezzettare il vetro così da renderlo meno tagliente. Non taglieranno più, spero, quei vetri infranti.

E poi cammino per Copenaghen dopo lavoro, vedo la città invasa da giovani e son felice. Mi piacerebbe il Duomo così pieno di sorrisi. Perché il centro rimane sempre un punto di riferimento per la memoria, anche se poi ho sempre voluto vivere in periferia. Vicino alla tangenziale per avere la consapevolezza che l’uscita dalla routine è sempre a portata di mano.

La paranoia finisce quando il pensiero subliminale scompare.

Il giorno del mio compleanno

10 Jun

Il giorno del mio compleanno è iniziato alle 19:45 dell’8 giugno. Dopo una giornata più che piacevole tra un colloquio e un altro per un lavoro o per la casa con una spruzzata di chiacchiere online per fare CouchSurfing. Il tutto dopo aver dormito due ore la notte prima nella sala di amici che mi hanno invitato a una festa carinissima. Stancarello.

Luci di sospensione.

Luci di sospensione.

Appunto. Alle 19:45 mi sono incontrato con il ragazzo danese che mi avrebbe ospitato per la notte dell’8 conosciuto sul sito CouchSurfing. E’ arrivato in ritardo all’appuntamento e questo me lo ha reso automaticamente simpatico. Ci siamo abbracciati e mi ha presentato al suo gruppo di amici. Passano cinque minuti e vado a prendere 8 birre per 4 di noi. Siamo andati al parco più vicino e le abbiamo bevute con vista laghetto, tra anatre, pennuti vari e persone che fanno jogging tra il fresco verde.

Siamo andati poi al concerto dei , dove sono entrato e non ho pagato grazie a una piccola gabola.  Bella musica e Jacob (così si chiama la persona che mi ospita) mi ha riferito che sta iniziando a festeggiare (ironicamente?) la settimana del suo compleanno (mercoledì 13 sarà 31enne). Così giustificandosi ha offerto da bere a me e ai suoi amici. Non ho detto nulla – non ho fatto sapere che sarebbe stato il mio compleanno di lì a poco. E scoccano le 00:01 del 9 giugno, e arriva la fine della mia settimana di compleanno. Ho preso 34 birre (7 come i giorni della settimana*4 di noi + 6 per “amici di amici” (?)) e ho annunciato e introdotto il mio compleanno alle persone con cui mi ero appena incontrato. Ho iniziato a fare fotografie e abbiamo fatto casino. Abbiamo continuato così festanti anche dopo il concerto, in compagnia di personaggi più che strani e più che piacevoli. Il mercato della carne di Copenaghen è l’ennesimo parco giochi per adulti, con bar notturni e posticini carini aperti per di più di notte.

Ritorno a casa di Jacob in taxi, pago e sono quasi sul lastrico. Ma poi penso di volerci arrivare dritto dritto sul lastrico e compro 12 birre per la sera (erano le 4 di mattino – che sera e sera). Continuiamo a bere e Jacob mette musica per 4 ore fino alle 8 di mattina. Dopo abbracci e felicitazioni, finalmente il sonno si è rimpossessato di me. Bella sensazione, mi mancava. Ma bella sensazione anche svegliarsi alle 11, sentire Jacob risvegliarsi e continuare come poche ore prima. Evvai di birra! Jacob poi esce e mi lascia casa sua: oggi vedrà la sua figlioletta. Metto un po’ a posto casa e poi vedo la finale del Roland Garros in streaming: Errani perde ma la amo lo stesso. Mi faccio una doccia, un panino con alimenti gentilmente offerti dalla casa e poi fuori. La strada di una grande città mi fa compagnia e mi fa pensare, mi impaurisce quel tanto da velocizzare i miei pensieri e farmi capire più cose. Trotterello nell’unico supermercato aperto e prendo una confezione di salmone affumicato. Il pranzo del mio compleanno è veramente buono. Sono felice del fatto di saper prendere un po’ cura di me stesso. Prendo mezzi super-lenti (la lentezza può essere affascinante e più che piacevole) per arrivare a un party super figo dove mi aspettano Chris, Mons, una loro amica bellissima, Rainer, il suo fidanzato Sensitive (lo chiamo così), Obba e qualche altro personaggio che non conosco. L’amica bellissima mi regala una corda gialla per il mio compleanno e io sono tutto felice. Non bevo neanche se non acqua e Coca Cola (vedi poi che se a trenta anni inizio a bere bevande di questo genere è giusto che mi autoquereli per stupidità), ballo e son felice. Imparo a giocare con la corda gialla e ci danzo. Bei momenti di calma nel parco del rave, dove giovani enormi hanno gesti gentili nonostante tutto. Bella questa parte di Danimarca. Bella. Mi godo la presenza dei miei amici più grandi e li vedo soddisfatti, e mi vedo soddisfatto di quelle che sono state le mie decisioni. Momento abbraccio e saluto con i miei amici belli. Mi incammino e, continuando a pensare e annotare qualche pensiero, vado a salutare le ultime due ore del mio compleanno a Christiania. Giusto una passeggiatina veloce.

Sta già albeggiando ora.

Sta già albeggiando ora.

Prendo di nuovo i mezzi super-lenti e penso che Jacob si merita un regalo un po’ speciale: faccio una scatolina con metà delle cose che prendo per tornare a casa sua da Christianshavn, come segno in vista del suo prossimo compleanno. Divido tutto in due per qualche ora, ringraziando il fatto di voler ancora conoscere delle persone, socializzare con tutti e vivere felice la gioia di prendersi cura degli esseri che apprezzo (anche e soprattutto se strani). Ora la scatoletta ha due mezzi pacchetti di caramelle, due sigarette Cecil red, metà ricordino da Christiania, un Ferrero Roche e un accendino. Questo il regalo per il compleanno: essere felice almeno per un giorno con/per tutto quello che ho e che ho avuto in regalo dalla vita.

No, grazie – elogio al “sì”

6 Jun

Per un quasi giornalista italiano le chance di trovare una redazione italiana che lo abbracci o un bar danese dove servire con un sorriso in faccia sono pressoché le stesse. Poche, pochissime, veramente pochissime. Almeno questa è la mia esperienza.

Sto cercando lavoro a Copenaghen come cameriere, pulisci piatto, pulisci cesso, pensatore, acchiappa fantasmi, grupie di Amanda Lear, sosia di Ivana Marchi e barista. Insomma: in qualsiasi posizione.

Foto a cazzo (non troppo però)

Foto a cazzo (non troppo però)

Mi sto abituando a sentire la parola “no, grazie” e la cosa mi preoccupa anche un poco. Mi dico che se la mia vita continua così, quando ci proverò con qualche grazia allo scopo di non dormire da solo e verrò rimbalzato perché non abbastanza piacente, sorriderò e quasi mi metterò a ridere. Perché questo è quello che mi succede al momento. “No, grazie” e ringrazio. Mi viene quasi da abbracciare i proprietari dei bar che mi rimbalzano e non riesco a capire se sia dovuto al fatto che la mia autostima sia sprofondata così che ogni “no” è una prova della mia consapevolezza o l’autostima stessa sia a essere consapevole. Insomma: il “no, grazie” come prova di fondato odio verso me stesso o come sabbia gettata su una statua. Nulla mi tocca, è quasi un problema. Anche se poi ho momenti di ansia che mi braccano ferito e un po’ sanguinante. Anche questa è vita, ma non riconosco la direzione della mia autostima. Ma alla fine neanche questo è un problema.

Detto ciò e nonostante tutta questa mia paranoia, ho capito almeno che i “no, grazie” sono di diversi generi.

Primo: “no, grazie – guardati/sentiti”. E’ quel “no, grazie” della faccia tirata per evitare la risata, è quel “no, grazie” dell’espressione insolente che deriva dal pensiero che gli interlocutori siano distintamente diversi tra loro, con uno in piena posizione di superiorità nei confronti dell’altro. Nell’approccio nella vita emotiva e sessuale è quell “no, grazie” dei giovani e in generale delle persone non dotate di empatia e, invece, super equipaggiati di mezzi potentissimi per alimentare le insofferenze altrui.

Secondo: “no, grazie – vorrei ma non posso”. E’ quel no di una ragazza o un ragazzo che si tiene spremuto il cuore per non farlo battere, lasciando il cervello in posizione costante per non pregustare il piacere del “sì”. Perché sanno che sarebbe un piacere. E’ quel “no” empatico che conforta e non spegne le speranze, perché il cuore dice una cosa ma è il cervello a parlare.

Terzo: “no, grazie – ripassa più tardi” (1a versione). Questa tipologia di “no, grazie” è la più infima. Non ha niente a che vedere con la seconda e la quarta opzione. Ma se la gioca con la prima possibilità in termini di ferocia. Non è il “no, grazie” della derisione, ma quello della non considerazione alcuna.

Quarto: “no, grazie – ripassa più tardi” (2a versione). Questa versione è quella del “al momento no, ma forse nel futuro sì”. L’unica cosa da capire in questo caso è quale sia l’orizzonte del future delle persone. “E mò”?

Quinto: “no, grazie – ma ti posso aiutare”. Questo è un atteggiamento onorevole, a meno che non sia il “no grazie” di una ragazza/ di un ragazzo che dice “non mi piaci” ma c’è la tal persona a cui piaci. Insomma, la persona a cui ci si propone non ti vuole ma vede il tuo potenziale e ti vorrebbe affittare emotivamente, regalandoti a una terza persona. Ma il soggetto richiedente però non voleva l’altra persona, voleva te! Le persone non sono interscambiabili (magari i bar sì).

Sesto: “no”. Il “grazie” è implicito. Perché le persone anche quando rigettano il libro, il racconto, il lavoro o la corvée degli altri si dovrebbero sentire quantomeno onorati dal fatto di esser stati considerati da un’altra persona. Il “grazie” me lo prendo di default.

Poi ci sono diverse spiegazioni che si possono aggiungere al “no, grazie” e queste spiegazioni potrebbero cambiare l’orizzonte del rifiuto. Ma non è un problema tutto questo. Abbraccio la mia valigia e aspetto di farmi dire dove andare. Lei non mi dice mai di “no”. Mi dice solo “grazie” anche se si fa usare e mi sopporta da diversi anni. “Sì, sì, sì”. E poi non mi corregge neanche se dico Ivana Marchi al posto di Vanna Marchi.

Basta così, mi godo i momenti tranquilli con i miei amici Chris e Mons, pensando al presente e sfogliando il futuro.

Buona valigia a tutti.

Un simbolo in due – People are strange

17 May

Viaggiando si può imparare tanto, ma questo è abbastanza chiaro.

L’aspetto più adulto del viaggio è la possibilità di conoscere e pensare. Ma anche questo è abbastanza chiaro.

L’aspetto del viaggio che mi piace di più è la possibilità di due scoperte che sommate danno un bottino per me ben poco banale.

Primo: si viaggia e si impara i simboli delle diverse culture che ci ospitano, perché anche la più triviale segnaletica stradale è un segno bello e buono. Per passare ai saluti, ai cerotti, al deodorante, ai fiammiferi e alle prese dell’elettricità. Per non parlare del cibo, delle cosiddette malattie  e della cultura stessa: è tutto un simbolo, siamo tutti ricchi di valori simbolici. Anche la nostra casa è un simbolo (funzionale).

La presa bene. La danese.

La presa bene. La danese.

Secondo: i simboli sono astrazioni che servono a semplificare la comunicazione (la comprensione a volte), l’interazione tra due persone e in generale la società tutta (anche se poi bisognerebbe capire se le persone sanno che i simboli sono simboli e che non hanno valore assoluto/globale – ma questo è un altro discorso).

Terzo: viaggiare può anche segnalare quali simboli, natii o stranieri, siano soggettivamente onorabili e quali non lo siano. Opinando poi un simbolo, se succede, il vero spirito del viaggiatore si incammina per togliere quell’aspetto, condizionato al tempo e allo spazio, del proprio universo simbolico. Insomma, si può distruggere il vecchio simbolo e magari lo si può sostituire con un altro simbolo, personale questa volta.

Penso che sia per questo che il viaggiatore (che abbia viaggiato di più o di men) diventi strano, straniero in qualsiasi posto. E come canterebbe qualcuno “People are strange when you’re a stranger – Faces look ugly when you’re alone”.

Seghe mentali conclusive: amore come soluzione o “simbolo nel fianco”?

Il viaggiatore potrebbe conoscere un viaggiatore come lui a cui raccontare i propri simboli e, se capito, sentirsi meno solo. Rimane comunque che viaggiare non è facile e che si ama la potenzialità della persona non vedendo le reali condizioni attuali. Trovarsi veramente bene in un viaggio condiviso è trovarsi nello stesso simbolo insieme. Un sogno in due.

E se anche l’amore fosse solo un simbolo?

E cosa succede quando nella comunicazione il simbolo perde il suo valore simbolico e rimane soltanto una regola che non si sa bene come recepire? E se l’amore fosse una regola?

E’ tutta questione d’amore (e non di sexercise)

12 May

Ho capito una cosa in questo periodo: che è tutta questione d’amore.

Mi sono reso conto che una teoria plausibile che semplifica le relazioni sociali è proprio semplice. L’amore. Provo amore velocemente. Per questo mi lascio trasportare velocemente dagli altri. Li amo e sono curioso di vedere il loro mondo. Perché ci vuole amore per entrare nel mondo degli altri. E conoscere è in un certo senso amare. Per questo, penso che per conoscere e specialmente conoscere i ritmi degli altri sia tutta questione d’amore.

Oggi mi viene solo voglia di piangere. Mi preparo al distacco emotivo da un gruppo di persone che non avrei mai cercato nella mia vita, ma che è capitato rosicchiando i miei equilibri. Altre due settimane e poi via: ciao Aarhus, ciao Aldersrovej 27B.

Qua ho provato amore per persone diverse da me, li ho ascoltati e ho capito che il buon viaggiatore deve serbare tanto amore.

Tramonto a Skagen - Danimarca

Tramonto a Skagen – Danimarca

Poi mi sono ricordato di come da piccolino, al rientro da molte vacanze estive, mi accasciassi sul sedile posteriore della macchina piangendo. Perché il distacco corrode, almeno apparentemente, un po’ di affetto. Perché nella routine, già da piccolo, vedevo ben poco amore.

In età adulta ho avuto diverse prove di questo vento vacanziero che ci migliora: le scappatelle dopo maggio sono quasi sempre degli amori estivi, gli amori invernali sono spesso delle scappatelle. In altre parole, nella quotidianità non abbiamo tanta capacità di avvertire le emozioni, che trascuriamo come una tartaruga indesiderata nell’acquario. Quasi tutti i momenti importanti vengono presi sotto gamba. Il sex è quasi exercise, diventando una pratica abitudinaria simile al pilates. Una sorta di sexercise.

Ma la questione nel mio caso è leggermente diversa: mi aspetterà ancora instabilità, la routine sarà solo il biglietto della metropolitana di Londra. Rimane quindi l’adieu. In tutta la sua forza. Ho paura che salutandoli possa perdere una piccola parte di me che mi sta molto a cuore. Ho paura che abbracciandoli per l’ultima volta sotto questo tetto possa perdere la capacità di provare affetto per loro.

Ci penso. Salutare le persone che si ama è sempre un po’ come cadere e sbucciarsi. Amare è conoscere, ma anche conoscersi. E’ emozionarsi e stupirsi ancora. E’ avere voglia. E’ avere coraggio. Il coraggio di togliere la routine dalle nostre scarpe.

E’ strano. Ma tutte le volte che mi allontano dalla sicurezza dell’amore penso al suicidio. Penso sia tutta questione d’amore. Ma non ho capito ancora come.